Giovedì sarà il compleanno di Giona.
Vivo questi giorni come una Pasqua, nel senso che sento su di me tutto il peso della croce e della passione.
Mi sono appena paragonata a Gesù Cristo?
Sì!
Ma a differenza Sua io ho pure partorito.
Due volte.
Di cui una un bambino di 4500g.
Sono consapevole del fatto che con questo paragone mi sono meritata una pole position per l’inferno (ammesso che esista e/o non lo stia già vivendo su questa Terra).
Sono passati due anni.
Ricordo giorni interminabili trascorsi in ospedale, facendo la spola tra oncologia e ginecologia, come uno yo-yo, gonfio di cortisone, trascinando una pancia viva e un corpo morto sotto la sonda di qualunque macchinario.
Psicologicamente sono uscita da quella situazione devastata.
Si parla poco della salute mentale dei malati di cancro, ma assolutamente nulla della salute mentale delle donne che diventano pazienti oncologiche mentre sono incinte. Siamo 4 gatte chissene se il cervello degenera in un punto che diventa nero come un buco che ti risucchia distruggendoti.
Amen sorella!
Se mi avessero detto di avere il cancro in qualsiasi altro momento della vita in qualche modo sarei riuscita a metabolizzarlo.
Ma io non ci sono riuscita. Non ancora.
Sono come spaccata a metà: ricordo cose piccolissime con una dovizia di particolari assurda e cose importantissime le ho rimosse di netto.
Tipo: come ci sono arrivata in ospedale il giorno del parto? Da sola? A piedi? Con la macchina? Vestita come?
Ricordo però le due infermiere che mi aiutarono ad indossare il camice e le calze antitrombo, che si chiamano così perché chiamarle calzeNONtitrombo pare brutto, d’altronde devono essere funzionali non sexy.
Ricordo anche che avevo comprato una valigia azzurra proprio per l’occasione e dentro ci avevo messo i vari foulard e cappellini per coprire la testa più una parrucca da fata turchina.
Davvero.
Una parrucca azzurra che doveva darmi un tono in quella sensazione di morte che mi stava sovrastando.
La morte è ancora la mia fidata compagna, ci ho stretto amicizia e ci ho stretto pure un patto diciamo…
Io e non lui.
Questa cosa è stata detta anche a Daniele: “Se ti trovi a scegliere tra me e Giona sai cosa devi fare.”
Ecco come si (sopra)vive una gravidanza con il cancro.
Sperando di morire al posto di tuo figlio.
Non pensi mai alla possibilità che (sopra)vivere tocchi a te.
E questo mi ha ucciso prima del tempo.
Ha ucciso una parte di me che ho sepolto con le mie stesse mani.
Ogni tanto vado da lei, dalla Dalilamorta e le porto dei libri che leggo e so che apprezza (roba noiosa di fantascienzaperpochi).
Sulla sua lapide ho fatto incidere la frase che ha rubato ad una nostra cara, cinica amica: -CAZZO GUARDI?- tutto maiuscolo.
Dalila è morta quando è nato mio figlio.
Poi sono arrivata io.
Ero inchiodata ad un lettino come Cristo in croce, la braccia legate, un telo che nascondeva la pancia e mi sono detta che in fondo potevo pure rinascere.
Succede in continuazione a Beautiful.
Pure a Dragonball.
Nei film con gli zombie.
Ah e nella Bibbia.
E così passo questi giorni come sul Calvario, ripensando a quante volte sono caduta, chiedendo a Dio il perché del suo abbandono e sapendo che morirò.
Sì, mi sono paragonata a Cristo una seconda volta, ma pensandoci bene io un comandamento che dice di non farlo non lo conosco.
Nel caso contrario all’Inferno Dante ci ha messo bella gente.
Non a caso.
Ci si vede al Cocito amici!

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