Da consumarsi entro…

Da consumarsi PREFERIBILMENTE entro

I supermercati a Natale sono una rappresentazione vivente di come potrebbe essere l’inferno.
Un posto pieno di gente che parla, si dimena, compra cibo per ingozzarsi a forza, viene punzecchiata da carrelli che vagano in ogni dove e si arrende alle torture di bambini troppo eccitati per rimanere fedeli al proprio genitore.
Il girone del cenone.
E puntualmente IO, unica in famiglia ad avere una grave allergia alla socialità, ad odiare il prossimo come me stessa e ad essere infastidita dal solo fatto di dover respirare la stessa aria di 8 miliardi di persone, mi ritrovo in fila al banco del pesce ad osservare l’immensa, variegata offerta della stupidità umana.
Sono tra uno sgombro, un salmone e una cappasanta, mi sento un’acciuga stretta da un’orda di predatori, ma sono stranamente felice.
C’è stato un tempo in cui ho creduto di avere un’aspettativa di vita più breve di quello stoccafisso che sta per aggiungersi alla lista delle pietanze, un tempo in cui ho comprato pacchi di gocciole pensando che i miei manifesti funebri sarebbero scoloriti prima della loro scadenza, un tempo in cui il tempo non era tempo.
Lo immaginate?
Un tempo che non è tempo, ma un vortice che risucchia e scuote ogni parte del tuo corpo come fosse qualcosa di cui liberarsi il prima possibile, una zecca sul dorso di un animale, una cimice che si annida nel bucato.
Mi sono sentita tutte queste cose messe insieme.
Ma poi ho tirato il freno di emergenza, quello che ferma anche il più veloce dei treni. L’inerzia del mio corpo mi ha schiantato contro il presente, ho provato dolore, ho pianto per il dolore provato e con molta lentezza ho cominciato a darmi scadenze sempre più lunghe.
Ho vissuto un’altra primavera, ho annusato il glicine in fiore e a dirvela tutta quel glicine era il più profumato che avessi mai sentito.
Ho bagnato i piedi in un azzurro mare, ho spento qualche candelina non prevista su torte nemmeno immaginate, ho festeggiato ogni respiro.
Così si sono alternati i colori dei prati, delle foglie e di asfalti troppo asciutti prima e troppo bagnati poi.
Asfalti di strade che mi hanno portato qui, oggi, schiacciata da un’orda davanti al banco del pesce che odora di candeggina e fiati umidi, a pensare di essere felice.
Non so se ho l’aspettativa di vita di uno stoccafisso, ma d’altronde anche essere un’ effimera deve avere i suoi pregi.
E così, provvista di una giovane chioma ribelle che mi rende riconoscibile fra mille, sorrido lasciando credere a chi mi sta schiacciando di essere probabilmente pazza.
In realtà ho solo trasformato un -consumarsi entro e NON OLTRE- in un -consumarsi PREFERIBILMENTE entro- alla mia data di scadenza.
Potrei sempre mettermi sottovuoto

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