Le mani mi puzzano di candeggina.
Non faccio altro che portarle al naso, allontanarle disgustata e poi rimetterle sotto per sniffare ancora un po’ di quel puzzo.
E’ un tanfo stupefacente che crea dipendenza.
Le mani delle donne della mia famiglia hanno avuto sempre odori e aspetti non proprio da catalogo.
Le mani di mia mamma finiscono sul bordo di un tavolo da cucito. Chi ha visto una donna cucire sa a cosa mi riferisco, a quell’angolo ottuso che il polso forma tra il palmo e il braccio e non fa altro che andare avanti e indietro al suono di un battere di macchina.
Quanti punti ha guidato il polso di mia madre?
Una mano di mia nonna finisce con un bracciale di rame.
Dice porti bene, faccia qualcosa contro le scariche elettriche e guarisca non so quale male.
Ci credo, lo porta da una vita.
L’altra mano inizia con
una sigaretta, tenuta con eleganza per trattenere su la cenere.
Avrei dovuto indossare i guanti fatti per trattare le scorie nucleari quell’estate che all’ombra delle acacie si faceva la conserva.
Tuffai le dita in una vasca piena di pomodori rossi e maturi, con il profumo futuro di sugo di casa.
Nessuno mi aveva detto che la conserva era “corretta” con dei peperoncini ciliegia, piccanti come il diavolo e mimetici come uno di quegli insetti strambi che si appoggiano su un albero e ne sembrano parte.
Io sono come uno di quei peperoncini ciliegia in mezzo ai pomodori dolci.
Bisogna. Mettere. I guanti.