Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con le macchine.
Tendiamo ad esprimerci silenziosamente attraverso di esse.
Non a caso la mia è un vecchia Panda nera.
Scolorita dal sole sul tettuccio, ammaccata sul lato da un cinghiale, pulita dentro solo per il volere di mio marito.
E inconsciamente nella mia vita ho tendenzialmente collegato le persone conosciute alle loro auto.
L’ho capito girovagando in macchina e incrociando una vecchia Tipo bianca.
Non ne fanno più così.
La Tipo bianca di papà, gli interni in velluto verde in micro quadri che quella macchina aveva e il caldo che d’estate emanavano, i granelli di sabbia incastrati nelle pieghe e guai a chi non si spazzolava i piedi prima di entrare.
Vietato consumare ogni tipo di cibo e bevanda all’interno.
Un reliquario.
Ah se solo gli uomini pulissero le loro case come le loro auto.
Un’auto un papà.
Un’auto un ex.
L’ Y10 Bordeaux.
Manco a farlo apposta c’hanno scritto una canzone che io prontamente, ai tempi, nonostante la giovane età dedicai al mio bastardissimo lui.
Però che bei gusti che avevo.
Musicali intendo.
Il tormento iniziò dopo la rottura.
Avvistavo quell’auto ovunque.
“Normale” direte voi.
Normale se non abiti in un paese di 6 anime e quell’auto ce l’hanno in 2.
Al 50% è lui cazzo.
Funzionava così.
-Passeggiata
-Avvistamento
-Individuare il guidatore
-Colpo apoplettico
-Rianimazione
-Pensare di rigargli la macchina
-Sciogliersi in uno stridio di gomme
-Osservare i fanalini posteriori gridare addio
-Alzare il dito medio svoltato l’angolo
Dopo quella batosta mi sono innamorata all’incirca altre 206 volte, ma mai nessuna mi ha fatto battere il cuore come lei.
L’ Y10 Bordeaux (sedili ribaltabili inclusi).
Sountrack: Daniele Silvestri – L’Y10 Bordeaux