Play (please)

Sono cresciuta con le musicassette.

Con il nastro che si intrecciava e la penna che perfettamente entrava nel buco facilitandomi l’avvolgere.

Avevo un Walkman dagli improponibili colori anni ’80.

Nel cervello avevo ormai sviluppato “il senso della Track”. Quell’istinto primordiale che mi permetteva di premere il Fast Forward per arrivare alla canzone seguente e captare esattamente il punto in cui iniziava.

Quanto era rassicurante il suono dello Stop?

Poi Play.

E quei due pirulini che catturavano la cassetta cominciavano a tirarsi dietro un peso incredibile e invisibile, tempo due secondi e il suono arrivava alle orecchie.
In verità era silenzio.
L’esatto punto in cui le canzoni si dividono e ti lasciano il tempo per preparati ad
un’altra storia, ad un altro ritmo.
Ero veramente brava.
Avevo una dote innata a trovare i punti morti.
Fast Forward, a volte Rewind, stridio e Stop.
E ne cominciava un’altra.
Raro che fermassi nel punto sbagliato, poco dopo un ritornello o a canzone già iniziata.
Oggi so che “il senso della Track”, quella strana predisposizione a far partire il nastro nel punto giusto, me la sono portata dietro, nonostante i Walkman siano oramai pezzi da museo.
Ne ho fatto lo stesso uso con i sentimenti.
Sapevo quando iniziavano, sapevo quando finivano, sapevo quando c’era un punto morto.
Ho saputo riconoscere la canzone buona sul nastro.
Ho schiacciato play senza il timore di aver sbagliato.
Ora potrei mandarla avanti veloce o farla tornare indietro ma non posso mettere in pausa.
Il Walkman non ha il tasto Pause.
Il nastro o lo fermi o gira.
Al massimo ti può offrire l’Autoreverse.
O Play o Stop.

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